Non si sa più come spiegare ai decisori politici che il gas, anche se si chiama gas naturale, è a tutti gli effetti un combustibile fossile! In quanto tale, non permette di decarbonizzare. Non è una “tecnologia ponte”, ma piuttosto un vicolo cieco, una scelta miope, che rischia di assorbire un’immane quantità di fondi per costruire infrastrutture che andranno smantellate pochi anni dopo. Inoltre, a causa del suo elevato potere serra (pari a circa 30 volte quello della CO2) il metano andrà a consumare in poco tempo una quantità considerevole del prezioso budget di carbonio che ci resta a disposizione.La stessa considerazione vale per la bozza di Piano nazionale energia e clima 2030 (Pniec), inviata dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico a Bruxelles il gennaio scorso e per cui la consultazione pubblica sta per concludersi: gas per i trasporti in abbondanza, insieme ad altre misure drammaticamente inadeguate. Ora, arrivare a un trasporto a zero emissioni al più tardi al 2050, come richiede l’accordo di Parigi, non è di certo cosa facile, né ovvia. Non ci si arriva con timide misure di breve termine: bisogna piuttosto prendere il toro per le corna e andare dritti verso l’obiettivo finale.

La prima cosa da fare è prendere coscienza della sfida che abbiamo di fronte. Come mostrato nel recente rapporto di T&E Emission reduction strategies for the Italian transport sector, per rispettare l’obiettivo 2030 nei trasporti dobbiamo tagliare nei prossimi dieci anni circa 23 milioni di tonnellate di CO2 (il 33% dei livelli del 2005) e questo di per sé appare già complicato. Ma il grosso del lavoro viene negli anni successivi, nei quali andranno portate a zero i 77 milioni di tonnellate di CO2 che restano. Quindi la velocità di riduzione post-2030 dovrà essere di gran lunga superiore di quella richiesta nel periodo 2020-2030.

Come si fa? L’unico modo è varare misure scalabili nel tempo che facciano da apripista per la decarbonizzazione del settore. Il gas sarà forse scalabile entro certi limiti, ma essendo fossile va nella direzione contraria all’obiettivo. I biocombustibili, a cui il Pniec sembra assegnare un ruolo prioritario, non possiedono queste carattere di scalabilità: semplicemente, non siamo in grado di produrne a sufficienza per costruirci sopra un intero sistema di trasporti.

Scalabile è invece l’elettrificazione e su questa bisogna investire in maniera molto, ma molto più decisa. Contemporaneamente, va ridotta drasticamente la domanda di energia finale del settore, rivoluzionando il modo in cui muoviamo merci e passeggeri. L’auto privata deve scomparire dalle città una volta per tutte per lasciare il posto a un trasporto pubblico elettrico che collabora e si integra con la mobilità attiva e le nuove forme di mobilità. E anche qui le misure proposte non sono adeguate.

C’è veramente da chiedersi se i decisori politici siano minimamente consapevoli dell’importanza epocale che caratterizza questi documenti programmatici. Le scelte di oggi condizioneranno drasticamente la nostra possibilità, o meno, di mantenere la temperatura del pianeta entro limiti accettabili. Ce lo ricordano i documenti della comunità scientifica internazionaleGreta Thunberg e le migliaia di studenti che manifestano nelle piazze tutti i venerdì nei #FridaysForFuture: la siccità crescente, la frequenza degli incendi e i disastri ambientali di cui il nostro Paese è stato recentemente teatro.

Se vogliamo evitare il disastro, i decisori dovranno armarsi di una buona dose di audacia, coerenza e lungimiranza per varare misure che siano all’altezza, ma soprattutto dovranno essere consapevoli della grande responsabilità che detengono. Si tratta della nostra ultima chance, e bisogna raddrizzare in fretta il timone nella giusta direzione.

 

Questo articolo è stato pubblicato inizialmente su ilfattoquotidiano.it.