Opinion

Il business delle scimmie

February 6, 2018

Le rivelazioni sulle ricerche di VW, Daimler e BMW, compiute costringendo sia scimmie che persone sane a respirare i fumi tossici del diesel, in un tentativo perverso di dimostrare che le loro automobili fossero pulite suscitano disgusto. Questi metodi presentano delle scioccanti somiglianze con la tattica dell'industria del tabacco, che ha finanziato ricerche volte a negare i danni delle sigarette con l’esplicito obiettivo di confutare le prove dell'Organizzazione mondiale della sanità. Svelano un offuscamento degli standard morali delle case automobilistiche tedesche in netto contrasto con i brillanti marchi che queste aziende curano spendendo enormi somme di denaro.

Le informazioni divulgate ben illustrano i tentativi dell’industria automobilistica di negare i problemi per la salute e l’ambiente ricorrendo a istituti di ricerca solo apparentemente indipendenti, come l’ormai defunto European Research Group on Environment and Health in the Transport Sector, noto in Germania come EUGT. L’EUGT, interamente finanziato dai produttori tedeschi di automobili e dal fornitore di componentistica automobilistica tedesco Bosch, è il responsabile dell’attuazione degli esperimenti respiratori. Queste pratiche, iniziate negli Stati Uniti, sono state ampiamente utilizzate dai negazionisti dei cambiamenti climatici, ma ora risultano sempre più diffuse in Europa. Ad esempio, ForFreeChoice ha recentemente avviato una campagna contro i divieti di utilizzo dell’olio di palma ed è apparso nei dibattiti sulle norme in materia di emissioni di CO2 delle automobili, battendosi contro le restrizioni e contrastando le associazioni dei consumatori.

L’abuso della “ricerca” da parte dell’industria automobilistica per rifornire di munizioni il suo esercito di lobbisti è endemico. Uno studio ha proposto di spendere 520 miliardi di euro per riasfaltare le strade europee per ridurre le emissioni invece di migliorare le automobili. In un report finanziato dall’industria si dichiarava che il miglioramento dell’efficienza dei furgoni ne avrebbe aumentato il costo fino a 8.800 euro; nel frattempo uno studio indipendente della Commissione quantificava l’aumento a 620 euro. Inoltre, l’industria aveva affermato che “non è possibile raggiungere l’obiettivo di 130 grammi di CO2/km per i veicoli, come proposto dalla Commissione”; obiettivo poi raggiunto con diversi anni di anticipo, senza incidere sul prezzo delle automobili.

L’industria ha legioni di ricercatori e consulenti pronti a ingannare e disinformare l’opinione pubblica e i politici. Le ONG invece hanno difficoltà a trovare consulenti qualificati disposti a lavorare con loro, per la paura di inimicarsi l’industria ed essere tagliati fuori. Nel frattempo i legislatori sono chiamati a regolamentare un’industria da miliardi di euro disponendo di bilanci esigui e, quindi, costretti a fare affidamento su dati e studi commissionati dall’industria, che costituiscono la base di valutazioni d’impatto pessimistiche.

La risposta delle aziende dimostra che lo scandalo Dieselgate non ha insegnato molto. Nel 2015, la risposta iniziale è stata dichiarare che “un manipolo di ingegneri disonesti” alla VW era responsabile delle frodi sulle emissioni. Ma è rapidamente emerso che la tattica di abbassare i controlli delle emissioni era diffusa in tutto il settore e conosciuta a livello dei consigli direttivi. Passando al 2018, ogni azienda ha sospeso un senior manager che, senza dubbio, farà da capro espiatorio nel disperato tentativo di salvare la credibilità residua. Non c’è dubbio: i cacciatori di streghe troveranno altri “cospiratori”, da sacrificare per proteggere coloro che hanno creato la cultura tossica dell’industria automobilistica tedesca dove i fini giustificano i mezzi.

L’imbroglio sui controlli delle emissioni di NOx esposto dal Dieselgate non è l’unico ed è stato provato anche per i test di laboratorio per la CO2 e i consumi di carburante. Senza dubbio gli ingegneri sono già impegnati nell’identificare i punti deboli del nuovo test WLTP per distorcerne i risultati. L’introduzione del WLTP e dei nuovi test in condizioni reali di guida per gli inquinanti atmosferici costituiscono un passo avanti – così come il rafforzamento del sistema di omologazione dei veicoli, inclusa una supervisione più accurata da parte della Commissione europea. Ma, alla fine, il sistema non funzionerà a meno che non vi sia un’applicazione rigorosa e delle sanzioni severe per i truffatori, tale da indurre un cambiamento culturale dell’intero settore. Questo spiega perché i clienti americani di VW sono stati risarciti, mentre qui in Europa circolano sulle strade 35 milioni di diesel fortemente inquinanti. Anche i test di sicurezza sui sistemi di monitoraggio della pressione dei pneumatici sono stati manipolati per consentire ai sistemi più economici di soddisfare gli standard. L’industria deve smettere di sfruttare le scappatoie e cominciare ad applicare correttamente i regolamenti, sapendo che le irregolarità nelle procedure saranno individuate, denunciate e sanzionate. Le imprese dovrebbero competere con la qualità dei loro ingegneri, non degli avvocati. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un’Europa più forte, con Parlamentari e Commissari decisi e disposti a tenere sotto controllo un’industria che sta intaccando la reputazione sia della Germania che dell’Europa.

Il business delle scimmie è solo l’episodio più recente di una serie spaventosa di scandali che vede coinvolta l’industria automobilistica tedesca. Il Dieselgate continua, con decine di milioni di diesel sporchi tuttora circolanti sulle strade europee; tuttavia, ad oggi, non si intravede nessuna azione concertata da parte dell’UE per riparare queste automobili. Recentemente i costruttori di camion sono stati multati per quasi 3 miliardi di euro per un cartello che fissava il prezzo dei controlli delle emissioni. Le case automobilistiche tedesche sono attualmente oggetto di indagini per il cartello degli anni ’90, volto a coordinare le attività relative ai costi dei veicoli, ai fornitori e alla tecnologia, compresi i controlli delle emissioni del diesel. Lo schema rivela un’industria che si pone al di sopra della legge. Un atteggiamento dovuto a un rapporto malsano con la politica tedesca dove gli uomini fanno avanti e indietro tra i consigli di amministrazione e il Bundestag e i Länder (gli Stati) sono coproprietari.

La metà delle azioni BMW rimane nelle mani della famiglia Quandt; il 20% di VW è di proprietà dello Stato della Bassa Sassonia; Bosch è in gran parte proprietà di una fondazione benefica. I consigli di amministrazione di ognuna di queste società sembrano incapaci di gestire i capibranco alla guida di questi trasgressori recidivi. La loro rincorsa alle vendite, ai profitti ed al prestigio appaiono insostenibili e totalmente privi di etica commerciale. Un cambiamento culturale è essenziale in queste aziende disoneste se si vuole garantire loro un futuro nel lungo periodo; prendere a capro espiatorio una manciata di manager è solo un’operazione di facciata. È necessario un cambiamento profondo del personale esecutivo e nel consiglio di amministrazione, più donne, più giovani, e un nuovo management esterno all’industria automobilistica, per ricostruire la reputazione delle case automobilistiche tedesche, oggi rovinata.

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