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Recepimento RED III, T&E: l’Italia rischia di stravolgere la norma europea e di consegnarsi alla dipendenza dai carburanti fossili nei trasporti

13 novembre 2025

Le organizzazioni ambientaliste: “Il decreto del Governo indebolisce la Direttiva europea, ignora i nuovi target sulle rinnovabili e rischia di consolidare lo status quo fossile. Sia emendato con urgenza: serve una vera strategia industriale e climatica per il settore dei trasporti”

Il recepimento in Italia della Direttiva RED III sull’uso di energia da fonti rinnovabili nei trasporti rischia di tradursi in un palese stravolgimento della norma europea, che rallenterà la transizione del settore e confermerà la dipendenza dell’Italia da carburanti fossili e materie prime di importazione ad alto rischio di frodi. È quanto dichiarano le organizzazioni ambientaliste e della società civile: Cittadini per l’Aria, Greenpeace Italia, KyotoClub, Legambiente, Sbilanciamoci!, T&E Italia e il WWF. Anziché cogliere l’opportunità di allinearsi agli obiettivi climatici europei e avviare una vera modernizzazione del settore dei trasporti, il Governo italiano sembra optare per un recepimento debole e spesso improprio, col rischio di esporre il nostro Paese a profili di non conformità. Quello in esame al Parlamento è un testo che mostra il solo scopo di favorire esclusivamente il settore dei biocarburanti.

Emendare con urgenza. Le organizzazioni firmatarie chiedono che il decreto venga emendato con urgenza in sede parlamentare, con la piena volontà di rispettare l’impianto della Direttiva europea, rafforzando i target generali e per tutti i vettori energetici, correggendo le forzature normative e introducendo tutele reali per ambiente, clima e consumatori. L’Italia ha bisogno di una strategia industriale e climatica all’altezza delle sfide globali del presente e del futuro, non di un decreto di conservazione dello status quo.

Pericolo procedura di infrazione. Il testo che emenda il Dlgs 199 del 8 Novembre 2021 - secondo gli ambientalisti - manca di aggiornare l’obiettivo nazionale di energia rinnovabile nei trasporti (FER-T), che resta fermo al 16% al 2030, nonostante il nuovo quadro europeo richieda un’ambizione molto più alta (29% in termini energetici o una riduzione del 14,5% in termini emissivi). Si tratta di una mancanza grave dal momento che il fine delle Direttive Europee è proprio quello di fissare un obiettivo comune. La proposta del Governo - presentata con circa 5 mesi di ritardo rispetto alla normale scadenza e viziata da questa vistosa stortura - rischia perciò di aprire a una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese.

Governo non ignori alternative ai biofuels. Per un Governo alfiere della “neutralità tecnologica” è inoltre incoerente finire per ignorare il contributo di tutti i vettori energetici che non siano biofuels. Viene infatti trascurata l’elettricità rinnovabile nella bozza di decreto, che non recepisce l’obbligo previsto dalla RED III (art. 25, comma 4) di istituire un meccanismo di credito per l’elettricità rinnovabile ricaricata dai veicoli elettrici e plug in hybrid in ambito pubblico. Se questo era comprensibile nella prima versione della Direttiva, quando la mobilità elettrica ancora non esisteva, sicuramente non lo è più nel 2025. Si sta creando un sistema in cui la quota rinnovabile di diesel e benzina è incentivata, mentre non lo sono gli elettroni verdi di una ricarica elettrica. Una vistosa disparità di trattamento, contraria alla direttiva stessa. Il mancato recepimento di questo articolo rischia di tradursi - nuovamente - in una procedura di infrazione verso l’Italia.

Manca sostegno alla filiera dell’idrogeno verde. Come per l’elettricità rinnovabile, mancano target vincolanti, così come incentivi, per l’uso di combustibili rinnovabili di origine non biologica (RFNBO), come gli e-fuel, che la RED III prevede come quota obbligatoria nei trasporti, cruciali per la decarbonizzazione dei settori aviazione e marittimo. La necessità che tali settori assorbano questi carburanti rimanda alla prospettiva, per la filiera dell’idrogeno verde e i suoi derivati, di raggiungere la scala industriale necessaria ad abbatterne i costi. Il decreto tuttavia si limita a consentire il loro eventuale utilizzo per il raggiungimento del target complessivo, senza fissare obblighi né sotto-obiettivi specifici (come suggerito da T&E), o introdurre meccanismi di sostegno che ne promuovano la diffusione.

Attenzione all’uso dei sottoprodotti dell’olio di plama. Nel decreto si assiste anche a un indebolimento di importanti salvaguardie ambientali. Viene infatti reintrodotta la possibilità di utilizzare il PFAD (Palm Fatty Acid Distillate), un sottoprodotto della raffinazione dell’olio di palma che - nella versione precedente - era escluso dal conteggio in virtù di un alto rischio di cambiamento indiretto di uso del suolo (ILUC). Nonostante venga spesso presentato come “residuo”, il PFAD ha un valore commerciale significativo e la sua domanda può chiaramente incentivare l’espansione delle piantagioni di palma, contribuendo a deforestazione e perdita di biodiversità. T&E ha documentato casi in cui il PFAD è stato usato sistematicamente come sostituto dell’olio di palma grezzo, generando impatti climatici paragonabili – o superiori – a quelli del diesel fossile.

Biocarburanti a rischio frodi. A questa criticità, si aggiunge l’ampliamento del tetto per i biocarburanti ottenuti da rifiuti e residui [1], teoricamente più sostenibili, che passa dall’attuale 2,5% al 5%. Un raddoppio che, in assenza di meccanismi stringenti di tracciabilità e verifica sulle biomasse utilizzate, apre la strada a dinamiche speculative e potenziali frodi di etichettatura. T&E ha evidenziato come la disponibilità reale di alcuni feedstock “residuali” – come oli da cucina esausti (UCO) o grassi animali – sia molto lontana dal poter coprire la domanda crescente. Già oggi, con volumi molto minori, l’80% dell’UCO utilizzato in Europa proviene da paesi terzi, in particolare dall’Asia, dove i sistemi di tracciabilità sono spesso opachi o inesistenti. Ci sono forti indizi che oli vergini, in particolare olio di palma, vengano etichettati come “esausti” per rientrare nella categoria incentivata. Lo stesso vale per altri sottoprodotti come il POME (Palm Oil Mill Effluent), la cui disponibilità dichiarata nei mercati supera di gran lunga le stime basate sulla produzione reale, lasciando presumere un uso fraudolento dell’etichettatura. In Italia, nello scorso anno, la bioraffinazione ha dipeso per circa il 40% da questa materia prima, tutta d’importazione. Estendere le soglie di utilizzo di feedstock potenzialmente problematici, senza rafforzare i criteri di sostenibilità, è una scelta pericolosa per il clima.

Il cartello degli operatori di carburanti. Il recepimento della Direttiva prevede inoltre un innalzamento della componente bio nei carburanti: infatti per il diesel la quota di biodiesel FAME (Fatty Acid Methyl-Ester) in miscelazione ai fossili si innalza dal 7% al 10%. Questa quota “bio” è proprio quella su cui circa 6 operatori di carburanti hanno creato un cartello: secondo l’AGCOM le aziende petrolifere si sono infatti accordate su incrementi di costo, portando il valore iniziale di 20€/Smc3 nel 2019 a circa 60€/Smc3 nel 2023, e sono state multate per quasi 1 miliardo di euro per questa condotta.

Neutralità tecnologica formula vuota. “La “neutralità tecnologica” - sostengono gli ambientalisti - appare sempre più come una formula vuota. Essa si traduce, nel concreto, in una strategia che prolunga l’uso di carburanti fossili e rallenta l’adozione delle soluzioni più efficaci per la decarbonizzazione, come l’elettrificazione del trasporto leggero, capace anche di ridurre il consumo di energia primaria del settore e quindi di sostenere l’indipendenza energetica”.

Serve un piano di allocazione delle fonti energetiche. Le associazioni ambientaliste ricordano che oltre il 90% dei consumi energetici del trasporto stradale in Italia è ancora oggi alimentato da carburanti fossili e la sola auto privata ne rappresenta il 63%. Favorire i biofuels nel trasporto leggero significa, in sostanza, consolidare il mercato dei combustibili fossili, anziché superarlo. Le associazioni chiedono una strategia ragionata - volta a massimizzare i risparmi emissivi e l’efficienza - che sostenga l’uso di elettricità nei trasporti stradali, i carburanti sintetici nei settori Hard to Abate, e i biocarburanti sostenibili come soluzione per il settore aereo. Un piano, in altre parole, di giusta allocazione delle diverse fonti energetiche ai migliori usi. Ignorare e poi non rispettare questi target e rallentare la transizione dei settori afferenti all’Effort Sharing Regulation, rischia di tradursi in importanti oneri per lo Stato e per i cittadini, con la prospettiva, per l’Italia, di dover ricorrere all’acquisto di quote per le emissioni in eccesso.

[1] Parte B, allegato VIII

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