• “Volano maiali”: serviranno fino a 8.800 maiali (morti) per alimentare un volo da Parigi a New York. Italia principale utilizzatore di biocarburanti da grassi animali

    L'uso crescente di grassi animali per biocarburanti sempre più insostenibile

    Roma, 31 Maggio – Per un volo da Parigi a New York potrebbero servire in futuro fino a 8.800 maiali morti. Questa sarebbe la quantità di suini necessaria a ricavare i grassi animali con cui produrre il carburante utile per quella tratta aerea, nel caso di un volo alimentato al 100% da biodiesel. Se gli animal fats dovessero diventare la principale materia prima per produrre Sustainable Aviation Fuels (SAF), i cosiddetti “carburanti sostenibili per l’aviazione”, il crescente uso di grassi animali per alimentare il trasporto aereo e su strada, in Europa, diverrà insostenibile: a dimostrarlo è un nuovo studio pubblicato da Transport & Environment (T&E). Secondo il gruppo ecologista serve maggiore trasparenza affinché i consumatori sappiano cosa finisce (e cosa potrebbe finire nei prossimi anni) nei loro serbatoi, nonché cosa alimenta i loro voli.

    L’uso di biodiesel a base di grassi animali è raddoppiato negli ultimi dieci anni ed è 40 volte superiore rispetto al 2006. I legislatori europei hanno promosso questo sottoprodotto della zootecnia intensiva come una soluzione per ridurre il carbon footprint dei carburanti per il trasporto: si è partiti dalle automobili fino a estendere l’impiego di questi prodotti anche agli aerei e, in misura minore, alle navi. Tuttavia, il primo limite da affrontare è la scarsità di questi residui dell’industria della carne. I grassi animali sono necessari (e difficilmente sostituibili) per l’industria del pet food, dei saponi e della cosmesi; ma quasi la metà di tutti i grassi animali europei, attualmente, è destinata alla produzione di biodiesel, e da qui al 2030 il consumo di biocarburanti prodotti con questa materia prima potrebbe triplicare, innescando una forte competizione tra diversi settori. Inoltre, va ricordato che si tratta dello scarto di un’industria, quella della zootecnia intensiva, a sua volta insostenibile in termini di emissioni di gas serra e le cui dimensioni e la cui produzione necessitano di essere radicalmente ripensati, se si vuole proteggere il clima. In prospettiva, i biocarburanti prodotti dai grassi animali si rivelano quindi una soluzione non scalabile e insostenibile per la decarbonizzazione dei trasporti.

    C’è un significativo rischio, inoltre, che i grassi animali di categoria 3 (di qualità superiore e impiegati tipicamente in industrie a maggior valore aggiunto) vengano artatamente “declassati” ed etichettati come di categoria 1 e 2 per poter essere utilizzati nel settore trasporti e beneficiare di un doppio incentivo economico (riconosciuto per legge a questo tipo di addizione “rinnovabile”). Di fatto una frode industriale vera e propria. L’analisi che T&E ha commissionato a Cerulogy, una società di consulenza esperta del settore, dimostra infatti una forte discrepanza tra i dati riportati dagli stati membri e quelli dell’industria dei grassi animali. Se quest’ultima, nel 2021, ha dichiarato di poter offrire al mercato poco meno di mezzo milione di tonnellate di grassi animali di tipo 1 e 2, gli Stati membri hanno invece riportato un impiego di queste materie di circa 1 milione di tonnellate. 

    Questa discrepanza dovrebbe accendere un campanello d’allarme specialmente per l’Italia, che impiega circa il 50% di tutto lo stock UE di queste materie prime “di scarto” e che, pertanto, risulta essere il principale utilizzatore di grassi animali di categoria 1 e 2 nella produzione di biodiesel: circa 440.000 tonnellate raffinate nel solo 2021. 

    Carlo Tritto, policy officer di T&E Italia, ha dichiarato: “Così come gli oli esausti da cucina, anche i grassi animali risultano essere potenzialmente fraudolenti. Queste materie prime sono scarse e necessarie in altre industrie a maggior valore aggiunto, come quella del pet food o della cosmesi. Impiegarle per la produzione di biocarburanti non è una soluzione scalabile né tanto meno sostenibile, in quanto spinge i settori concorrenti all’uso di feedstock alternativi e assolutamente negativi da un punto di vista ambientale e climatico, come ad esempio l’olio di palma. In tal senso la strategia italiana di puntare sui biocarburanti come soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti appare fallace. Ci auguriamo che il Governo, specialmente nel contesto della revisione del PNIEC, non voglia avallare quelle che appaiono, a tutti gli effetti, frodi deliberate”.

    Le principali compagnie aeree, come Ryanair e Wizz Air, hanno recentemente concluso importanti accordi con fornitori di petrolio per i cosiddetti SAF. Tuttavia, i dettagli sulle esatte materie prime utilizzate nei SAF sono spesso vaghi. Le proiezioni ottenute dalla società di consulenza Stratas Advisors rivelano che i grassi animali dovrebbero essere la materia prima “di scarto” più comunemente utilizzata in questa tipologia di carburanti, insieme all’olio da cucina esausto.

    Il crescente uso dei grassi animali da parte dei produttori di biocarburanti è particolarmente problematico per le industrie del pet food e per quelle di saponi e cosmetici, che fanno largo uso di questa componente organica e hanno poche o nessuna alternativa per sostituirla. I produttori di alimenti per animali domestici hanno già avvertito che saranno costretti a passare a “opzioni meno sostenibili”, così come hanno fatto anche i produttori di saponi e cosmetici, che con ogni probabilità si volgeranno all’impiego di olio di palma, essendo questa l’opzione più economica a disposizione [1].

    Nel peggiore degli scenari possibili, quello in cui l’olio di palma vergine arrivi a sostituire i grassi animali nell’industria oleochimica (saponi, cosmetici), alle emissioni di CO2 dei biocarburanti a base di grassi animali andrebbero sommate quelle prodotte per incrementare la produzione di olio di palma: questo renderebbe la produzione di biocarburanti due volte più dannosa per il clima del diesel convenzionale.

    “Gli usi concorrenti dei grassi animali mettono a nudo la sfida di incrementare la produzione di biocarburanti di scarto. I grassi animali non crescono sugli alberi, ma provengono dall’allevamento intensivo. I fornitori di alimenti per animali domestici, per esempio, dovranno ridurre la sostenibilità dei loro prodotti utilizzando al loro posto l’olio di palma. È semplicemente l’ennesimo greenwashing legato ai biocarburanti: i prodotti di scarto sono pochi e necessari per altre industrie e invece vengono utilizzati, probabilmente con etichettature fraudolente, per la produzione di biocaburanti che riducono le emissioni solo in teoria. Se questi vettori sono analizzati nel loro intero ciclo di vita ci si rende conto che emettono più del diesel fossile. E la cosa peggiore è che tutto questo avviene a completa insaputa di cittadini e consumatori, con lauti incentivi economici”, conclude Carlo Tritto.

     

    Frode potenziale

    I grassi animali si dividono in tre categorie. Le categorie 1 e 2 comprendono i grassi animali che non possono essere consumati dall’uomo o dagli animali, in quanto di scarsa qualità o potenziale veicolo di agenti patogeni e malattie. Questi normalmente vengono utilizzati solo nei carburanti per i trasporti e per il riscaldamento. I grassi animali di categoria 3 sono invece di qualità migliore e vengono utilizzati in diversi settori.

    La Direttiva europea sull’Energia Rinnovabile (RED) incoraggia la produzione di grassi animali per i carburanti da trasporto, consentendo ai fornitori di carburante di raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili grazie al loro utilizzo. La RED, infatti, dà priorità alle categorie 1 e 2 per i carburanti da trasporto, assegnando loro il doppio del loro contenuto energetico (e quindi un doppio incentivo economico) nel raggiungimento degli obiettivi.

    L’anno scorso, i Paesi europei hanno dichiarato di consumare una quantità di biocarburanti derivati da grassi animali delle categorie 1 e 2 doppia rispetto alla produzione dichiarata dalla stessa industria zootecnica. Ciò suggerisce che i grassi animali di categoria 3, quelli di qualità superiore, potrebbero venire etichettati in maniera fraudolenta come categorie 1 e 2 per poter beneficiare dei vantaggi economici riconosciuti con i doppi incentivi. Poiché i grassi animali hanno un valore maggiore se commercializzati come carburanti da trasporto, c’è il rischio che i produttori e i fornitori declassino i grassi di alta qualità per indirizzarli alla produzione di combustibili. 

    Per ridurre il potenziale di frode e le conseguenze negative derivanti dalla sottrazione di grassi animali utilizzati in altre industrie, T&E chiede ai policy maker di escludere la categoria 3 dei grassi animali dall’elenco delle materie prime ammissibili per i biocarburanti.

     

    Note per l’editor

    [1] Vedi pagina 13 del briefing 

    [https://www.transportenvironment.org/discover/pigs-do-fly-the-rise-of-animal-fats-in-european-transport/]

    [2] Nonostante l’incentivo ai fornitori di carburante affinché diano priorità ai grassi di categoria 1 e 2, dal 2014 l’uso di questi grassi animali di bassa qualità è cresciuto solo del 36%, contro il 160% dei grassi animali di qualità superiore (Cat 3) utilizzati in altre industrie.